La pubblicazione di Gyo di Junji Ito da parte di Star Comics dimostra come negli ultimi tempi il panorama a fumetti italiano stia riscoprendo di un certo tipo di manga underground, che fa della sua forza le atmosfere estranianti e le surreali deformazioni dei corpi umani: il cosiddetto Body Horror, molto apprezzato da registi occidentali come David Cronenberg e Stuart Gordon.
Tra gli esponenti di questo particolare sottogenere orrorifico si possono citare autori come Shintaro Kago (Super conductive Brains Parataxis), Hideshi Hino (Hell baby) e, appunto, il protagonista di questa recensione.
Junji Ito riesce a distinguersi dagli altri per la peculiarità del suo modo di disegnare. Nelle opere del mangaka, tra cui lo stesso Gyo, l’autore riesce a creare un contrasto netto tra le situazioni ordinarie e quelle straordinarie, modificando radicalmente il metodo d’inchiostrazione.
Se infatti in situazioni che potremmo definire “normali” i personaggi vengono rappresentati attraverso un’inchiostrazione pulita e un tratto tondeggiante, nel momento in cui l’orrore si palesa sulla scena, tutto cambia in maniera netta e brutale. Il tratteggio di Junji Ito assale i soggetti in maniera imperante, nervosa e ossessiva, soffocando le figure e pervertendole, così da creare un immediato senso di smarrimento e terrore nello spettatore, fino a quel momento abituato a delle linee sinuose e rassicuranti.
In Gyo questa sensazione risulta amplificata dal soggetto stesso della storia, in cui la fauna ittica del Giappone invade la terraferma attraverso dei macchinari a forma di zampe di ragno che consentono ai pesci di camminare tra gli uomini.
Seguiamo quindi questa sorta di assurda e delirante invasione apocalittica – non molto dissimile dalle trame dei film horror di serie B anni ’80, come Piraña paura di James Cameron – attraverso gli occhi di Tadashi, che insieme alla fidanzata Kaori dovrà prima sfuggire e poi a trovare una soluzione al problema dei pesci-macchina, grazie sopratutto all’aiuto dello zio, rinomato scienziato in qualche modo collegato al problema.
Il viaggio affrontato da Tadashi assume le connotazioni di un vagabondaggio senza fine tra le strade dell’Inferno. Man mano che l’invasione prosegue, il mondo si riempie anime sofferenti, straziate da una tortura che non li abbandona neanche dopo la morte, trasformando i loro corpi in grottesche parodie di ciò che erano in vita.
L’ispirazione all’immaginario apocalittico occidentale si palesa in alcuni richiami visivi espliciti, tra cui spicca quello a Baphomet, in uno dei momenti più emblematici dell’intera storia, o alle orge di cadaveri ammassati e costretti ad un infinito calvario tra le esalazioni mefitiche dei loro stessi corpi, possibile richiamo di Junji Ito al contrappasso dei golosi nella Divina Commedia.
Le reazioni dei personaggi allo straordinaria ondata di orrore che fa capolino nelle loro vite viene raffigurato con altrettanta maestria. Junji Ito, come detto, utilizza uno stile più asciutto e pulito per gli esseri umani non ancora colpiti dal male, e questo gli permette di dipingere sui loro volti espressioni caricaturali plastiche ma tremendamente esplicative, che attingono alle espressioni esagerate dei personaggi del mangaka Umezu Kazuo (Aula alla deriva) al quale Junji Ito ha sempre dichiarato di essersi ispirato.
Tuttavia, a fronte di un disegno indubbiamente pregiato e unico nel suo genere, Gyo non dimostra altrettanta pregevolezza dal punto di vista della scrittura. La trama si dipana senza particolare originalità, facendo della sua forza il citazionismo al cinema underground e la generale spettacolarizzazione delle scene truculente.
Junji Ito ha cercato di mantenere un certo equilibrio tra la plausibilità scientifica e la componente soprannaturale, perdendo le redini della prima e abbandonandosi alla seconda senza particolari spiegazioni, nonostante il plot stesso si poggi su basi “concrete”. Tale scelta è sì funzionale ad alimentare il senso di smarrimento generale, ma crea anche un buco logico difficile da ignorare.
A ciò si unisce una caratterizzazione dei personaggi allo stesso mondo blanda e stereotipata, che porta a prevedere facilmente lo sviluppo degli eventi.
Nonostante questi difetti, lo sviluppo della minaccia e della componente orrorifica viene gestito in maniera brillante, portando il lettore a voler costantemente voltare pagina per il puro piacere di assistere a nuove trovate macabre.
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