Il 2020 è senza dubbio uno degli anni più importanti della storia del medium videoludico, per svariati motivi: oltre ad una serie di uscite particolarmente interessanti (tra cui The Last of Us Parte 2 e il ritorno di grandi FPS classici quali Doom, Half Life ed Halo), Sony e Microsoft si ritrovano a scendere in campo per la sfida più importante, quella per la preparazione alla prossima generazione di console.
Però, tra la scarsa chiarezza sulla release e sul prezzo delle console, problemi di comunicazione per quanto riguarda ipotetiche esclusive temporali e gestione di smart delivery e giochi cross-generazionali, possiamo dire che, come preludio di una nuova generazione videoludica, tutto risulta fin troppo confuso e le premesse pre-lancio non fanno affatto gridare al miracolo.
In mezzo a questa nube di dubbi e diffidenza, gli sviluppatori indipendenti proseguono la loro marcia nella creazione e nel rilascio di titoli minori, rifiutandosi di badare troppo alle “scaramucce dei grandi”: tra questi vi è sicuramente il SUPERHOT Team (questo il nome dello studio) che, dopo essersi chiusi nel loro piccolo (ma grande) angolo creativo per diverso tempo, sono tornati con un nuovo capitolo dell’omonima serie, in uno spinoff che risulta decisamente più grande e ancor più particolare.
Scopriamo perché, nella recensione di Superhot Mind Control Delete!
Per entrare nella giusta ottica però, ci sentiamo in dovere di spiegare cosa fu il primo Superhot, in quanto questo spinoff ne segue volutamente le tracce, passo dopo passo: si tratta di uno sparatutto in soggettiva dall’estetica minimale, nel quale il protagonista ha il compito di pulire delle stanze (dal design molto “arena”) da un numero sempre elevato di nemici armati fino ai denti.
Tutto qui? Assolutamente no. La particolarità che rende più unico che raro questo titolo risiede in una meccanica di gameplay che troviamo speciale ancora al giorno d’oggi: il trascorrere del tempo sarà solo ed esclusivamente relativo ai nostri movimenti, nel senso che finché rimarremo immobili, tutto sarà fermo, ma nell’istante in cui sposteremo il nostro personaggio, tutto si muoverà con esso (i nemici, gli oggetti in volo, i proiettili).
Un concetto molto semplice sulla carta, che diventa però particolarmente complesso nel momento in cui dovremo “usarlo come interazione” per sconfiggere i nemici, evitare di venire colpiti, e proseguire: tutto ciò trasforma il gioco in un FPS dalla valenza prevalentemente strategica, nel quale dovremo ponderare con attenzione quali movimenti fare e quando farli, calcolare con precisione la traiettoria dei nostri colpi (cercando di prevedere lo spostamento del nemico) e cercare nel frattempo di sfruttare la meccanica del tempo per evitare quelli nemici (la prospettiva e la distanza assumono un ruolo decisamente importante).
La struttura ludica è molto lineare, le arene si affrontano in modo consecutivo e sono intervallate a frammenti narrativi tanto criptici quanto intriganti; a completare il tutto ci pensa un comparto grafico minimale, composto solo da linee e forme geometriche riconoscibili in un estetica nel quale il bianco opaco la fa da padrone assoluto, riuscendo comunque a dare del carattere ed una certa logica ad ogni ambiente.
Il risultato rappresenta un esperimento riuscito alla grande, la meccanica del tempo funziona in ogni sua sfaccettatura e l’equilibrio generale del gioco riesce ad offrire un livello di sfida che, nonostante non sia niente di eccessivo, ci porta ad affrontare le arene con metodi e modalità sicuramente diverse dai canoni classici del genere.
La prima cosa da chiarire è che Mind Control Delete non rappresenta in alcun modo un sequel di Superhot, bensì una sorta di “altra versione” dello stesso gioco. Infatti, la grafica, l’estetica, il core gameplay e il core design rimangono assolutamente invariati, e il motivo che rende Mind Control Delete un titolo ben più ampio ed elaborato del “predecessore” è da ricercarsi in una serie di elementi ed aggiunte puramente tecniche legate al gameplay, e ad una struttura di gioco leggermente diversa.
Partendo da quest’ultima, si nota sin da subito una grande differenza con la linearità del primo capitolo: il tutto inizia da una sorta di circuito elettronico, composto da nodi e collegamenti.
Tramite l’accesso al nodo, entreremo in una sorta di codice criptato che contiene un numero variabile di arene da superare, che, una volta superate, ci daranno l’accesso al nodo successivo: tali arene sono da completare consecutivamente, e fallire in esse ci costringerà a dover riaffrontare l’intero nodo dall’inizio.
Una volta completato il circuito, si sale di piano e, esattamente come avviene nei roguelike, ci ritroveremo ad affrontare altri nodi con difficoltà crescente: nonostante le arene abbiano tutte un design ben definito, il posizionamento dei nemici e le loro armi da fuoco saranno sempre casuali, rimanendo però sempre nel range di difficoltà del circuito nel quale ci si trova.
Qui entra in gioco la più grande novità di Mind Control Delete: la progressione.
Nonostante non esista alcun tipo di livellamento, man mano che supereremo i nodi avremo accesso a delle abilità che ci daranno dei vantaggi davvero sostanziali (la possibilità di muoverci più in fretta o di rispedire al mittente un proiettile deflettendolo con la katana, o di rallentare i colpi nemici non appena si avvicinano troppo e tanti altri) che rendono il gioco decisamente più vario e le strategie ben più stratificate.
Anche in questo caso vi è un elemento roguelike: queste abilità saranno relative solo al singolo nodo, e avremo la possibilità di scegliere solo una tra le due che ci vengono offerte (scelte casualmente tra quelle sbloccate), quindi giocare nuovamente il nodo daccapo (o iniziarne un altro) significherà ripartire da zero anche con le abilità.
Ma che senso avrebbe avere la possibilità di potenziarsi in modo così significativo se non ci fossero dei nemici all’altezza da affrontare?
Ebbene si, avanzando tra i circuiti ci verranno presentati nemici sempre nuovi con particolarità davvero uniche e da sconfiggere in modi sempre più folli (vorremmo fare qualche esempio, ma risultano così caratteristici che vorremmo lasciarvi il gusto di scoprirli da soli) che vi costringeranno ad usare ancora di più il cervello e l’improvvisazione: nei circuiti più avanzati infatti, il tutto diventa talmente complesso che potrebbe bastare un singolo movimento sbagliato per costringervi a ricominciare l’intero nodo dall’inizio, rendendo l’endgame del gioco (se così possiamo chiamarlo) quasi hardcore, dove solo chi ha imparato a padroneggiare al meglio tali meccaniche sarà in grado di sopravvivere.
Come se ciò non bastasse, vi sono anche una serie di meccaniche di puro design ambientale (che non riguardano quindi le nostre abilità o quelle dei nemici) che abbiamo trovato davvero speciali, che riescono ad essere ben contestualizzate e a funzionare alla grande (in uno sparatutto generico tali meccaniche non avrebbero alcun senso, eppure qui…).
Notevole anche la massiccia presenza degli oggetti di scena (oggetti di vario tipo che si trovano nello scenario e che potremo lanciare addosso ai nemici per stordirli o ucciderli), ora molto più numerosi e diversificati in base all’ambientazione: nel dojo dei ninja ci saranno katane e shuriken, nella palestra vari tipi di pesi, nella metropolitana telefoni e cestini ecc.
Inoltre, un enorme miglioramento è stato fatto anche sulle hitbox, estremamente più precise e rifinite che in passato, il che ha ovviamente influenza assolutamente positiva sulla fruizione del gameplay.
Purtroppo però, non c’è altro: come detto, i circuiti ed i nodi sono molti, così come i tipi di nemici ed i potenziamenti, eppure manca ancora qualcosa, un qualche guizzo creativo che possa rielaborare anche altri aspetti oltre al combat system (estetica, ambientazioni, ipotetiche fasi platform, sequenze a tempo ecc.) che avrebbe potuto donare al gioco un enorme spunto di varietà nelle attività e nei loro approcci.
Quindi, la visione generale dell’opera vede un combat system che, per quanto assolutamente speciale, divertente e strategico, risulta essere indubbiamente reiterativo: dopo qualche ora, le situazioni tendono a ripetersi un po’ troppo, le arene rimangono sempre le stesse dall’inizio alla fine, e quindi, a meno che il giocatore non abbia intenzione di arrivare alla fine per principio o per spirito di sfida, potrebbe diventare tutto decisamente noioso e pesante (anche in termini di longevità, non solo i nodi diventano sempre più difficili ma anche più lunghi proprio tempisticamente parlando).
Superhot Mind Control Delete è la versione più potente, elaborata e stratificata del primo gioco, resa tale grazie all’aggiunta di numerose meccaniche al combat system che diventa automaticamente più spettacolare e al contempo decisamente più competitivo e longevo rispetto al passato. Gli elementi roguelike, un utilizzo più coerente degli ambienti e un notevole miglioramento delle hitbox contribuiscono a rendere il gioco ancor più godibile.
Purtroppo però, il gioco non si sforza minimamente di fare di più, limitando l’esperienza al nudo e crudo combattimento in arene di difficoltà crescente, il che potrebbe annoiare il giocatore dopo poche ore di gioco, e rendendolo quindi indirizzato ad un pubblico più hardcore.
Considerando però che il gioco non ha mai preteso di essere un reale sequel, non ci sentiamo di criticare più di tanto queste scelte, ed elogiamo a piene mani il lavoro che è stato fatto, in attesa che questo talentuoso team possa dedicarsi per davvero ad un progetto ancor più ambizioso, che possa sfruttare queste solidissime basi per evolvere sotto ogni punto di vista questo piccolo grande gioiello.
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