Se avete mai tenuto per le mani un Nintendo DS e se siete – come il sottoscritto – appassionati di avventure narrative o visual novel, allora ci sono buone chance che abbiate quantomeno sentito parlare di Hotel Dusk: Room 215 , uno dei titoli più sperimentali e unici mai usciti per l’iconica portatile Nintendo e che ha cementificato una lunga collaborazione tra il team creativo del titolo e il colosso giapponese.
L’art director di Hotel Dusk e della serie di Another Code , Taisuke Kanasaki , è forse l’unico artista del mondo dei videogiochi ad utilizzare la caratteristica tecnica del rotoscopio , una tecnica che consiste nel ricalcare filmati reali; il suo talento non si faceva vedere da un po’ (l’ultimo suo lavoro è stato il remake di Another Code per Switch), finché non è stato mostrato il trailer di Dear Me, I Was… nel recente showcase di Arc System Works.
Dear Me, I Was… è un’esperienza brevissima, ma unica e preziosa , non esente da difetti ma che riesce ad emozionare e a raccontare una storia in modo decisamente nuovo, inaspettato. Una piccola gemma che segna il ritorno di uno dei creatori più sottovalutati della scena videoludica , e che andremo a vivere insieme.
Nasce, cresce, corre… Dear Me, I Was… è un’avventura narrativa con leggerissimi (quasi nulli) elementi puzzle in cui seguiremo da vicino la vivace vita di una ragazza anonima , dalla sua infanzia fino alla sua anzianità, accompagnandola in tutti quei momenti chiave che caratterizzeranno la sua persona: drammi, soddisfazioni, perdite, gioie, successi e sconfitte.
La protagonista, con la quale empatizzare è davvero semplice vista la natura estremamente umana di ciò che viene raccontato, affronterà nel corso della sua vita esperienze che tutti noi, prima o poi, abbiamo dovuto vivere o vivremo : la perdita di una persona cara, le insoddisfazioni professionali e personali, ma anche le gioie dei piccoli momenti e l’importanza delle connessioni. Dear Me, I Was… racconta, spogliandosi di sensazionalismi o esagerazioni, una storia vera, terrena , che è anche un enorme lettera d’amore verso l’umanità.
Conoscerà una ragazza in età adolescenziale, la quale sembra coltivare per lei un rapporto diverso da una semplice amicizia e nutrito dalla condivisa passione per l’arte : avrà una splendida storia, purtroppo non a lieto fine. Crescendo, tra insoddisfazioni della vita professionale e non, si frequenta con un altro ragazzo, soffrendo però per il proprio passato . Insomma, ci immergiamo nei panni di una persona che potrebbe letteralmente avere avuto la nostra vita, ed è una cosa magnifica .
Non ci sono elementi forzati, non c’è frastuono: è la vita normale di una donna normale , ed è forse questo il principale pregio di Dear Me, I Was… ; era da tanto tempo che non giocavo qualcosa di così magnetico nella rappresentazione e nella descrizione dei sentimenti umani. La cosa più notevole, ed è questa l’altra grande peculiarità del gioco, è che non esistono testi . L’impianto narrativo del titolo si regge unicamente sullo splendido acquerello del maestro Kanasaki e sull’ottimo comparto audio. I dialoghi sono totalmente assenti , perché basta la sola forza evocativa dell’immagine e del suono per raccontare questi sentimenti.
Come raccontare una storia senza dire nulla Dear Me, I Was… affronta quindi due sfide non da poco: non solo cerca di raccontare una storia normalissima ad un pubblico che senza il clamore sembra non riuscire più ad intrattenersi, ma lo fa senza dire mezza parola . Come ci sono riusciti? Come puoi narrare qualcosa con la stessa, insostituibile efficacia del testo?
La prima risposta sta nella mano di Kanasaki : siamo di fronte ad un dipinto in movimento di rara, se non unica, bellezza. Gli scorci che il gioco regala sono mozzafiato , e fanno un uso clamorosamente intelligente del colore e della disposizione degli elementi . Sono proprio i colori e i piccoli dettagli che rendono possibile al titolo di essere narrativamente fruibile al pari di un gioco testuale: c’è qualcosa che viene raccontato in tutto.
I colori sono più spenti e i tratti più disordinati nei periodi di difficoltà della protagonista, mentre sono più accesi e accattivanti nei momenti di gioia . Gli sfondi sono più dettagliati se si vuole dare risalto al luogo , mentre sono più approssimati se si sta enfatizzando la relazione tra due personaggi . Le animazioni sono più marcate e fluide nella giovinezza della donna, mentre diventano macchinose e affaticate quando si arriva alla terza età : il gioco sfodera continuamente nuove tecniche prettamente visive per favorire lo scorrimento della trama , ed è un qualcosa di magico e davvero unico che testimonia la grandissima qualità tecnica delle illustrazioni del titolo.
Gli osservatori più attenti noteranno tantissimi dettagli che, a loro modo, riescono a raccontare tanto , grazie anche ad un comparto sonoro commovente e ulteriormente impreziosito da una splendida theme song cantata dall’artista giapponese ITSUKA . Musica e suoni lavorano in tandem per farci immergere in questa opera d’arte vera e propria, che racconta una storia tanto semplice quanto toccante : davvero emozionante il finale, che cambia l’aspetto visivo e tecnico del gioco in un modo inaspettato e poetico .
Non è tutto perfetto Quando questo gioco fu mostrato nello showcase di Arc System Works, a colpire fu la sua esclusività per Switch 2 : un titolo praticamente composto da immagini non avrebbe particolare difficoltà a funzionare anche su una Switch normale. L’idea di molti era che, forse, l’esclusività per Switch 2 presupponeva un utilizzo intelligente e brillante delle gimmick della nuova console , in pieno stile Hotel Dusk .
C’è un po’ di delusione nel constatare che così, purtroppo, non è : l’interattività è ridotta davvero al minimo , e sebbene questo non sia di per sé un difetto – ho elargito su queste pagine grandi complimenti a Higurashi nonostante sia privo di qualunque interazione – è la natura di questi brevi e fugaci momenti a far storcere il naso .
La storia non avanza sotto il nostro input come in una visual novel, ed è assente qualsivoglia momento di “contemplazione” , un vero peccato considerato il prelibato stile del titolo: se leggo una visual novel e trovo una combinazione di sfondi e musica particolarmente interessante, posso decidere di rimanere fermo per il tempo che desidero, mentre su Dear Me, I Was… non è possibile nonostante le meravigliose illustrazioni lo meriterebbero.
I “puzzle”, se così possiamo definirli, sono pochissimi ed estremamente basilari : ci ritroveremo, il più delle volte, a trascinare elementi, scoprire i disegni sul quaderno della protagonista o cliccare . Queste interazioni sono tattili se utilizziamo la Switch 2 in modalità portatile , mentre se la stiamo usando in modalità tabletop o docked il dito viene semplicemente sostituito dal Joy-Con Mouse ; ciò significa che non esistono puzzle o rompicapi appositamente sviluppati in modo da fare esclusivamente uso della gimmick principale della console . Basta, non c’è nient’altro: eppure, gli spunti c’erano.
Parliamo di una protagonista-artista, i margini per inserire un minigioco di disegno c’erano : l’unica cosa che si avvicina alla lontana sono dei segmenti in cui dovremo trascinare il cursore per scoprire un bozzetto già confezionato sul taccuino , ma di fatto il giocatore fa ben poco. Perché, magari, non adoperare in qualche modo anche il curioso microfono integrato sul corpo stesso della console ? Il senso è che l’esclusività per Switch 2 è davvero forzata , non c’è niente che faccia pensare che questo titolo non avrebbe funzionato ugualmente bene su Switch originale.
Un utilizzo più intelligente e mirato delle peculiarità della nuova ibrida Nintendo non solo ne avrebbe giustificato l’esclusività, ma avrebbe garantito un elemento ludico più soddisfacente a quella che è una meravigliosa opera certamente sperimentale ma che poteva osare di più sul piano del mero gioco . Sarebbe bastata anche l’interazione più basilare del mondo , quella del “Premi per andare avanti”, per permettere al giocatore di trovare il proprio ritmo narrativo e apprezzare con meno fretta gli splendidi scorci disegnati da Kanasaki.
Luci e ombre di Dear Me, I Was… Dear Me, I Was… dura e costa il giusto per il tipo di esperienza che propone: per 8 euro vi mettete nelle mani un’avventura poco interattiva ma efficacemente emotiva , che racconta una storia estremamente normale in un modo anormale , spogliandola di elementi superflui e donando al disegno, alla musica, e ai colori il dono della parola . Il lavoro di un’artista così importante e unico nel settore come Kanasaki va supportato e se siete appassionati di avventure grafiche non potete perdervi questo dipinto in movimento.
Le criticità ci sono, e risiedono tutte nell’impianto ludico (o nell’assenza di tale ): non si chiede, certo, una sorta di escape room stracolma di puzzle e rompicapi, perché il fulcro del titolo è ben altro, ma di sicuro l’interattività rappresenta un’opportunità mancata , specie considerando le interessanti novità tecniche della nuova ibrida Nintendo: chissà che questo piccolo esperimento non sia in realtà servito a Kanasaki per tastare le acque del suo nuovo giocattolino, sperando in un suo ulteriore ritorno .
Comparto grafico e sonoro
9
Coerenza e cura del dettaglio
7.5
Pros
Uno stile meraviglioso e unico
Uno dei migliori esempi di quanto suoni e immagini possano essere potenti
Lunghezza e costo giusto per il tipo di esperienza
Cons
Interattività assente anche al livello più basilare
Utilizzo approssimativo delle particolarità della console
L'esclusività per Switch 2 appare forzata
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