Il costante impegno di Netflix nel mondo degli anime si rinnova ancora una volta con l’uscita dell’ultimo film prodotto dal colosso americano dello streaming, Bubble.
All’annuncio del lungometraggio tutti gli appassionati, e soprattutto gli addetti ai lavori, erano rimasti impressionati dal nuovo progetto, nel quale confluivano alcune delle figure più importanti del settore. Studio Wit (Attacco dei Giganti, Spy x Family) si sarebbe occupato dell’animazione, Tetsuro Araki (Attacco dei giganti) alla regia, character design affidato ai disegni di Takeshi Obata (Death Note, Bakuman), colonna sonora di Hiroyuki Sawano, theme song di Eve e il tutto scritto da Gen Urobuchi (Madoka Magika, Fate/Zero).
Con uno staff del genere era inevitabile che le aspettative fossero alle stelle e il trailer ci aveva mostrato delle immagini meravigliose che non avevano fatto altro che alimentare ulteriormente la nostra hype. Andiamo quindi a scoprire insieme se Bubble, disponibile su Netflix dal 28 aprile, ha mantenuto le mastodontiche promesse fatte alla vigilia o se ci troviamo difronte all’ennesimo Fireworks degli ultimi anni.
In Bubble il mondo è cambiato nel momento in cui dal nulla sono iniziate a piovere dal cielo delle bolle. Nessuno scienziato è riuscito a capire come mai questa moltitudine infinita di bolle ha iniziato di punto in bianco a ricoprire il mondo ed un giorno, a seguito di un’esplosione inspiegabile che ha colpito la capitale del Giappone, le bolle sono scomparse ovunque tranne che nei resti di Tokyo.
Sopra le rovine di questa esplosione si è creata una bolla gigante, all’interno della quale le normali leggi gravitazionali non esistono più e la città è stata così inghiottita dalla natura e dalla devastazione creata da questo inspiegabile fenomeno. All’interno della bolla però c’è chi ancora continua a viverci, adattandosi al nuovo ambiente dopo essere fuggito dal mondo esterno.
In questo posto tutto sembra ruotare intorno al “battlekour“, una competizione a squadre di parkour con la quale molti si guadagnano da vivere all’interno della bolla. Tra i partecipanti c’è anche il nostro protagonista Hibiki, un fenomeno del parkour con qualche problema a relazionarsi. Hibiki, insieme ad altri ragazzi, fa parte della squadra dei Blue Blaze guidata da Makoto, una scienziata che si trova li per monitorare i cambiamenti delle onde gravitazionali all’interno della bolla.
Un giorno Hibiki, mentre si stava recando verso i resti della Tokyo Tower attirato da un suono particolare, cade in acqua e rischia di affogare ma si ritrova salvato da una ragazza. La giovane non sembra in grado di comunicare ma nutre uno strano interesse per Hibiki il quale, dopo essere stato costretto ad iniziare a prendersi cura di lei, finisce per aprirsi come mai prima d’ora.
Uta, chiamata così da Hibiki perché in grado di canticchiare la melodia che sente solo lui, inizia a praticare parkour con gli altri e si rivela un fenomeno proprio come Hibiki. Insieme a lui e agli altri Blue Blaze cercherà quindi di capire cosa si nasconde dietro al nuovo cambiamento nella bolla che sta peggiorando ulteriormente le cose nell’ormai ex città di Tokyo.
Guardando il film scoprirete come Bubble sia una interpretazione in chiave moderna/sci-fi della fiaba de La Sirenetta di Andersen secondo Urobuchi. Nell’idea di base questa visione nuova e quasi catastrofica dello storico racconto è molto interessante e si poggia su temi e stili narrativi tipici delle opere di Urobuchi, racchiusi nel più evidente rimando al concetto di “spirale” ripreso più volte durante la visione.
La “spirale” che compare in Bubble è nient’altro che un’affascinate richiamo a immagini che riprendono contemporaneamente sia dalla scienza che dalla filosofia. Spirale come la forma delle galassie, come il movimento delle anomalie gravitazionali che hanno distrutto Tokyo e, spingendoci un po’ oltre con la mente, come il farsi e disfarsi di tutte le cose, che erano un tutt’uno e torneranno inesorabilmente ad esserlo.
Carico di così tanto significato e dalle potenzialità emotive non indifferenti, il racconto di Urobuchi finisce purtroppo per perdersi nel corso della storia. Il motivo di questa debacle narrativa va ricercato nel modo e nei mezzi che avrebbero dovuto veicolare il messaggio, i personaggi e la trama.
La trama e le ambientazioni, nonostante partano in maniera molto interessante, presentandoci prima la catastrofe e poi l’eccitante vita all’interno della bolla, non sembrano mai ingranare del tutto e si perdono nel minutaggio del film, arrivando alla fine senza averci davvero comunicato qualcosa ma soprattutto con molte domande e nessuna risposta.
Anche la rivisitazione della fiaba di Andersen riesce fino ad un certo punto. Inizialmente la storia di Uta è ricca di mistero e coglie subito l’attenzione dello spettatore anche attraverso scene visivamente emozionanti, ma andando avanti si perde un po’ e finisce per banalizzarsi nel semplice ricongiungimento con il finale dell’originale Sirenetta.
L’idea di Urobuchi non era sbagliata ma è stata messa in atto in modo forse troppo sbrigativo nel film, risultando poco lineare e soprattutto molto dimenticabile. Questo è dovuto anche alla presenza di personaggi molto piatti e praticamente mai sviluppati che concorrono a creare un cast del quale, alla fine della visione, non ricorderete nulla.
Personaggi così poco sviluppati e interessanti in un film del genere finiscono per compromettere l’intera opera. Di tutti quelli che vediamo durante la visione, solo Hibiki (in qualità di protagonista) riceve un piccolo approfondimento, con un po’ di spazio dedicato alla sua storia e al suo sviluppo. Uta alla fine risulta un personaggio incompleto e il resto delle comparse non convince mai lasciandoci disincantati verso l’intera costruzione narrativa di Bubble.
Se a livello di scrittura e di trama siamo stati critici nei confronti di Bubble sicuramente non possiamo esserlo per quanto riguarda gli aspetti tecnici del film. Gli altri “Avengers” della produzione del film non hanno fallito minimamente e ci troviamo di fronte ad uno dei film più impressionanti per animazioni e regia degli ultimi anni.
Studio Wit non sbaglia una virgola e mette in scena una Tokyo devastata estremamente poetica ed affascinante mentre la mano di Araki alla direzione si conferma il top in circolazione per quanto riguarda le scene d’azione, in grado di farci vivere il parkour all’ennesima potenza trasformandolo così nel vero punto di forza di tutto il film. Non è da meno nemmeno il character design di Obata, perfetto nel rappresentare la semplicità di Hibiki e la bellezza di Uta.
La colonna sonora di Sawano non eccelle per originalità e rispecchia a pieno lo stile del compositore giapponese, ma risulta azzeccatissima lungo tutto film, mischiando influenze di alcuni suoi lavori precedenti come 86, L’Attacco dei Giganti e Promare. Lo stesso vale per Eve che ormai sembra aver monopolizzato (meritatamente) ogni theme song anime in circolazione.
Per quanto riguarda il doppiaggio italiano il giudizio è sufficiente, non ci sono prove eccezionali se non un’ottima Chiara Leoncini nei panni di Uta ma nel complesso il tutto risulta godibile anche rispetto alla controparte giapponese.
In lingua originale, nonostante un cast eccellente con nomi del calibro di Yuki Kaji e Marina Inoue, per gli standard ai quali siamo ormai abituati era lecito aspettarsi qualcosa di più. Piacevole sorpresa invece la prova di Jun Shinson, personaggio a tutto tondo dello show business nipponico, alle prese con il primo doppiaggio da protagonista nel ruolo di Hibiki.
Alla fine Bubble si è dimostrato proprio l’ennesimo “Fireworks”, un film con aspettative troppo elevate per lo staff che c’era dietro, rispettate solo dal punto di vista tecnico. La narrazione di Urobuchi zoppica e non convince ma non è del tutto da buttare. Il vero problema è che non regge minimamente il confronto con il resto della produzione, impeccabile e magnifica sotto molti aspetti.
Proprio per questo la delusione è doppia e il giudizio complessivo estremamente duro. Da un film del genere ci saremmo aspettati molto di più, una storia in grado di trasportarci per tutti i 100 minuti emozionandoci dal primo all’ultimo secondo. Bubble invece finisce per colpirci solo grazie alle splendide immagini senza lasciarci molto al termine della visione se non questa spiacevole sensazione di aver appena assistito ad una meravigliosa occasione sprecata.
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