A distanza di quasi tre anni dal suo primissimo annuncio, Ghostwire Tokyo approda finalmente su PlayStation 5 e PC trascinandoci in quella che è la sua angosciante visione della capitale nipponica, a tu per tu con il sovrannaturale e costantemente connessi con l’aldilà.
L’Action-Adventure con dinamiche RPG concepito da Tango Gameworks (i creatori di The Evil Within, ndr.) si dimostra affascinante nella sua realizzazione, dove la componente ludica ben si amalgama alla volontà degli sviluppatori di raccontare una Tokyo piena di folklore giapponese, critica sociale e piccole venature horror. È il miscuglio di questi pochi e semplici concetti a portare sullo schermo un’avventura sicuramente non perfetta, ma che riesce a veicolare divertimento, sfida e curiosità al giocatore.
L’incrocio di Shibuya è il teatro del nostro primo incontro con Akito, il protagonista di Ghostwire Tokyo che andremo ad interpretare nel corso dei sei capitoli del titolo. Accerchiati dalla solitudine, apprendiamo che la città è stata presa d’assalto da un cataclisma misterioso, con una nebbia fitta e oscura che si porta dietro l’immediata sparizione di tutti gli abitanti di Tokyo.
Auto accidentate, sacchetti della spesa lasciati incustoditi e vestiti poggiati a terra e su passeggini sono l’evidente segno che la città è stata completamente polverizzata e che apparentemente noi siamo gli unici rimasti in vita. Il motivo ci viene presto rivelato: poco prima di essere inghiottiti dalla nebbia, lo spirito di KK, un Ghost Hunter della città di Tokyo che possiede l’abilità di manipolare l’Etere, prende il possesso del nostro corpo per ottenere così l’opportunità di vagare senza intoppi nella Tokyo in cui ci ritroviamo, a patto che ovviamente Akito collabori.
Inizia dunque da questo preambolo la nostra avventura in Ghostwire Tokyo, dove impareremo quartiere dopo quartiere a conoscere meglio sia il passato di Akito che quello di KK, un duetto che risulta essere ben scritto fin dalle prime battute e che accompagna con del sano umorismo orientale le nostre lunghe camminate in quella che riteniamo essere un vero e proprio prodigio d’ambientazione.
Senza scendere troppo nei dettagli, la campagna si sviluppa in modo tale da farci comprendere l’esistenza di una dimensione parallela alla realtà, un posto dove sono presenti gli spiriti di persone defunte che per un motivo o un altro non riescono a trascendere (passare oltre, ndr.). L’incontro con Hannya, il plausibile artefice dell’avvento della nebbia, serve da apripista nell’identificare fin da subito la causa degli eventi per poi iniziare una rapida ma ben eseguita escalation di fatti che ci porteranno alla conclusione delle vicende primarie.
La main quest purtroppo però non è così longeva come ci aspettavamo: la nostra avventura in totale è durata quasi trenta ore, ma almeno dieci-quindici ore le abbiamo occupate a dedicarci ad attività extra, il che si rivela essere a tutti gli effetti una lama a doppio taglio. Sia la storia principale che le attività secondarie sono ben scritte e invitanti da giocare, non facendoci quasi mai incappare nel famoso fenomeno di burnout (di cui abbiamo parlato in questo approfondimento), ma nell’insieme danno la sensazione di essere mal dosate e spesso incoerenti tra loro.
Se da un lato abbiamo la componente principale della narrazione che porta a farci scoprire i motivi dietro l’arrivo della nebbia e l’improvvisa sparizione dei cittadini di Tokyo, dall’altra abbiamo una serie di missioni secondarie che ci permettono di ambientarci all’interno della città, trasportandoci in un viaggio nel folklore giapponese e immergendoci in tutta una serie di leggende metropolitane dalle sfumature horror.
Se questa componente secondaria non fosse così ben realizzata e se girare per Tokyo non fosse così bello, probabilmente ci saremmo persi però non solo il meraviglioso tour nella cultura nipponica di cui Ghostwire Tokyo può decisamente far vanto, ma purtroppo anche parti strettamente collegate alla narrazione principale.
In alcune (ma non troppe) attività secondarie sono purtroppo presenti dei tasselli più o meno importanti che possono collegarsi alla vicenda principale. Con questo non si vuole affermare che non giocandole non si ottiene la giusta chiave di lettura dell’avventura principale, ma si vuole più esplicitare il dispiacere nel doversi giocare un’attività secondaria sapendo già che cosa succederà se questa non viene giocata nel suo ordine di apparizione sulla mappa.
Dato che queste attività secondarie sono ben caratterizzate nel 90% dei casi, forse sarebbe stato più propedeutico non marcarle come tali, ma come parte integrante dell’avventura principale.
Le strade di Tokyo sono sì prive di vita umana, ma sono allo stesso tempo dense di Visitatori, creature orripilanti che non trovano pace nell’oltretomba, e hanno l’unico scopo di intralciare il nostro cammino durante tutto il corso dell’avventura. Ce ne sono di diverso tipo, ognuno con un proprio set di attacchi, abilità differenti e con diversi livelli di resistenza; nei panni di Akito e KK dovremo abbatterli grazie al Kuji Kiri, una serie di movimenti delle mani dalla natura mistica che sprigionano attacchi di vento, acqua e fuoco.
Il sistema di combattimento di Ghostwire Tokyo si basa principalmente sul sapiente utilizzo di queste tecniche che mireranno a scoprire il nucleo dei Visitatori per poi renderlo assorbibile e dunque terminarli. Gli scontri sono sicuramente scenici, il movimento delle mani risulta sempre fluido e appagante così come combinare i tre elementi per creare eliminazioni sicuramente ad effetto. A condire l’attacco vi è poi l’importante sistema di blocco degli attacchi, che col giusto tempismo permette di parare i colpi dei Visitatori.
A questo vanno ad aggiungersi i talismani, degli oggetti consumabili che sprigionano effetti particolari come scosse elettriche o lenta corruzione che va a causare danno ai Visitatori. Tali oggetti vanno visti più come un plus rispetto al sapiente utilizzo del Kuji Kiri, che rimane il punto focale dell’azione. È inoltre presente anche un arco, utile per attacchi sulla lunga distanza o nelle fasi in cui verremo separati da KK e perderemo dunque temporaneamente la possibilità di sfruttare l’Etere a nostro favore per sprigionare gli attacchi elementari.
Non dimentichiamoci dell’importante componente RPG di Ghostwire Tokyo: Akito infatti sarà in grado di accumulare esperienza completando incarichi per la capitale nipponica e di spendere i propri punti in un ampio albero delle abilità, volto ad amplificare il legame con KK e sprigionare attacchi sempre più potenti, o sbloccare abilità più evolute.
Il titolo ci ha inoltre sorprendentemente divertito nelle sue fasi esplorative poiché Tokyo non si sviluppa solo in orizzontale, ma anche in verticale: sarà infatti possibile girare in città per le strade oppure sui tetti dei palazzi, grazie ai numerosi Tengu che ci permetteranno di arrampicarci sopra essi. È inoltre presente un sistema di planata che amplifica ancora di più il concetto di movimento dall’alto, utile soprattutto per raggiungere senza incappare nei Visitatori così frequentemente come a terra.
Andiamo ora a soffermarci su quanto sia maledettamente stupenda, ipnotica e visivamente appagante la ricostruzione della capitale nipponica in Ghostwire Tokyo. L’hardware su cui esce il titolo, che ricordiamo essere PlayStation 5 (versione che si esamina per questa recensione, ndr.) e PC permette di ricreare con un’altissima fedeltà tutti i luoghi più famosi di Tokyo, uniti da una serie di vicoli splendidi e sorprendentemente pieni di tracce di vita, anche se questa non sembra essere più presente in città.
Gli edifici si stagliano imponenti per le vie di una Tokyo che sì è vuota, ma allo stesso tempo piena di elementi da scovare. In tutta la mappa troveremo konbini gestiti da adorabili musi felini che ci venderanno consumabili, Yokai pronti a offrirci attività extra in cambio di punti esperienza, cani e gatti che, grazie al potere di KK, riusciranno a comunicare con noi offrendoci interessanti consigli sul mondo di gioco e tantissimi luoghi d’interesse.
Ghostwire Tokyo è ambientato quasi nella sua interezza di notte, dando la possibilità di ammirare la capitale nipponica attraverso l’illuminazione artificiale della moltitudine di case e templi che si riflette sull’asfalto bagnato dalla pioggia insistente: è qui che ci siamo innamorati del Ray Tracing che i ragazzi di Tango Gameworks hanno saputo sfruttare a dovere per ricreare una metropoli piena di dettagli anche se di fatto completamente desolata.
Su PlayStation 5, Ghostwire Tokyo mette a nudo il suo aspetto tecnico non presentandosi nelle sole due classiche modalità a cui siamo abituati vedere su console ma aggiungendone altre quattro. In totale abbiamo dunque sei impostazioni grafiche tra cui scegliere per poter giocare la nostra avventura per Tokyo.
Iniziamo dalla modalità Qualità, che imposta un limite a 30 fps ma che offre il meglio di sé in termini grafici, a partire dalla risoluzione in 4K e dalla presenza del Ray Tracing; tuttavia questa modalità presenta piccoli cali di framerate, visibili soprattutto nelle fasi più concitate del titolo. Si contrappone direttamente alla modalità Performance, che imposta un limite a 60 fps andando a diminuire visibilmente la qualità delle texture dei modelli; non dispone di Ray Tracing e in fase di test il framerate non si è dimostrato nemmeno troppo granitico.
Le due modalità sopra indicate hanno poi due modalità aggiuntive ciascuna, che sono delle varianti uguali in ogni loro forma ma che vanno a offrire una risoluzione dinamica in favore di un framerate senza limiti.
Abbiamo dunque le modalità Qualità HFR e Performance HFR, dove HFR sta per High-Frame-Rate, e permette al titolo di raggiungere un numero di frame al secondo maggiore. Queste due modalità però soffrono di enormi problemi di stuttering se provate su un pannello a 60Hz, facendocele abbandonare fin da subito.
Per fortuna in Ghostwire Tokyo troviamo però anche le modalità Qualità HFR e Performance HFR con il V-Sync attivo, che ci permetteranno di giocare alle modalità Qualità HFR e Performance HFR limitando però il framerate al limite del pannello utilizzato.
Terminati i test sulle sei configurazioni proposte da Tango Gameworks per Ghostwire Tokyo, crediamo che la modalità Qualità HFR con V-Sync attivo sia la miglior configurazione per giocare a ottime prestazioni mantenendo comunque la qualità promessa dalla modalità Qualità, con l’unico compromesso di disporre di una risoluzione variabile che però nel complesso non porta enormi fastidi. I combattimenti riescono a rimanere fluidi nell’interezza dell’opera, con davvero piccoli casi sporadici di cali di framerate che per lo più si verificano in ambienti interni, mentre l’esplorazione risulta sempre appagante anche in relazione alla qualità grafica offerta.
Il comparto sonoro di Ghostwire Tokyo si dimostra nella media, ma in generale non eccelle in nulla. La colonna sonora non dispone di tracce memorabili e per lo più non sono presenti nemmeno in grosse quantità, mentre sono discreti gli effetti audio che innescano bene il concetto di paura nelle fasi più cupe dell’opera.
Il doppiaggio in lingua originale si attesta di ottima qualità, e lo abbiamo preferito a quello italiano che in alcuni istanti ci è sembrato un po’ piatto e decisamente di qualità inferiore rispetto all’originale.
Giocare su PlayStation 5 a Ghostwire Tokyo ci ha permesso di immergerci maggiormente in quel che è l’esperienza nell’aldilà immaginato da Tango Gameworks. Grazie al DualSense possiamo sentire con mano la tensione del filo di Etere usato per estrarre il nucleo di un Visitatore grazie ai grilletti adattivi, oppure possiamo disegnare i marchi per liberare gli spiriti corrotti con l’ausilio del touchpad, o ancora percepire tutto ciò che il corpo di Akito accusa – che sia un atterraggio brusco o un colpo andato a segno – grazie al feedback aptico.
A questo va ad aggiungersi l’incredibile velocità dell’SSD di PlayStation 5 che, come già ampiamente visto su altri titoli già recensiti sulle nostre pagine (Returnal su tutti, ndr.), ci permette di entrare in gioco in tempi davvero ristretti, e di spostarci dall’esterno della città all’interno di un qualsiasi edificio in un battito di ciglia.
Ghostwire Tokyo è un viaggio nel folklore giapponese che arriva da un team di sviluppo che vive tutti i giorni la quotidianità del proprio popolo e ne capisce fino in fondo i lati più oscuri per farne, in un certo senso, della critica sociale neanche troppo nascosta raccontata attraverso gli spiriti che incontreremo nel corso della nostra avventura.
Il titolo accusa qualche mancanza in quella che è la sua struttura narrativa, che però fortunatamente viene compensata con gli interessi grazie a missioni secondarie ben curate e a una Tokyo bellissima da vedere e interessantissima da scoprire, soprattutto se ad accompagnarci c’è il DualSense.
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Molto dettagliata come recensione, curiosa di vedere meglio questo titolo.