Solitamente, il compito di un walking simulator è quello di raccontare una storia interessante, tramite soluzioni narrative intriganti, una caratterizzazione di personaggi che sia funzionale alla trama, un trattamento di tematiche e colpi di scena che possano colpire al cuore il giocatore, il tutto accompagnato da un comparto grafico e sonoro che sia all’altezza: abbiamo avuto modo di completare The suicide of Rachel Foster, opera thriller story driven sviluppata dal team italiano 101percento e rilasciato su Steam lo scorso 19 Febbraio.
Scopriamo dunque nella recensione del suddetto gioco quali dei punti focali sono riusciti a centrare!
L’opera è ambientata all’interno dell’hotel Timberline (Helena, Montana), dove negli anni 80′ avvenne un tragico fatto di cronaca: venne scoperta una relazione segreta tra Leonard (il noto ultra quarantenne proprietario del suddetto hotel) e una ragazza di appena sedici anni di nome Rachel, che, dopo essere rimasta incinta, decise di togliersi la vita; la cosa rovinò per sempre entrambe le famiglie, e scandalizzò l’intera comunità.
La vicenda si svolge anni dopo, quando Leonard muore e sua figlia Nicole, seguendo le volontà della madre (defunta tempo addietro), si ritrova a dover effettuare un sopralluogo nell’hotel ormai di sua proprietà, per verificarne lo stato ed effettuare le pratiche per metterlo in vendità.
Il piano della giovane donna è quello quindi di sbrigare la faccenda il prima possibile, in quanto quel luogo non fa altro che esprimerle terribili sensazioni, ma una intensa bufera di neve che si abbatte sulla regione la costringe a permanere più a lungo.
In quel momento, assumeremo il controllo di Nicole, e inizieremo la nostra perlustrazione dell’hotel: tramite uno dei primi modelli di telefono cellulare, faremo la conoscenza di Irving, agente della FEMA (ente federale per la gestione delle emergenze) ed esperto del Timberline, incaricato di accompagnarci e seguirci vocalmente tramite indicazioni, consigli e dritte al fine di agevolare al meglio la nostra visita all’hotel.
Munita di telefono e piantina del locale, decide di tornare nella sua vecchia camera da letto, posizionata in una suite speciale dove viveva anche Leonard: così, Irving inizierà a darle qualche piccolo compito da eseguire nell’hotel, volto ovviamente a farcelo esplorare e a controllare che tutto sia al suo posto.
Durante i consueti giri di perlustrazione però, iniziano a risvegliarsi in lei alcuni vecchi ricordi, alcuni positivamente nostalgici, altri ben più cupi: verranno infatti a galla in modo piuttosto insistente alcuni dubbi sulla sua famiglia e sul famoso delitto di Rachel, che, insieme ad eventi piuttosto anomali (come il ritrovamento di oggetti vistosamente fuori posto e rumori particolarmente sospetti) la costringerà a scavare nel proprio passato (nel quale ora si ritrova immersa sotto forma di ricordi) e a cercare indizi e informazioni (anche tramite il consulto di Irving) affinchè riesca a svelare una verità che era sempre stata celata ai suoi occhi.
La struttura di tutto ciò ricorda ovviamente due capostipiti del genere: il primo è What Remains of Edith Finch, con il quale The suicide of Rachel Foster condivide il concetto dell’incipit, dove la protagonista torna nella propria vecchia abitazione ormai abbandonata per fare luce su alcune questioni rimaste in sospeso a lungo.
Anche la gestione estetica dell’albergo ricorda la tenuta Finch: ogni stanza è infatti condita di una numerosissima quantità di dettagli sia micro che macroscopici che, con un minimo di spirito di osservazione, ci permetteranno di dare un forte contesto narrativo al background della trama.
La seconda fonte d’ispirazione arriva direttamente da Firewatch: Irving infatti non sarà solamente la nostra guida all’interno dell’hotel, ma la sua voce rappresenterà anche un importante forma di compagnia (specialmente nelle fasi più avanzate), inoltre il loro rapporto avrà più fasi della sua evoluzione; da perfetti sconosciuti diventeranno nel corso delle giornate ben più intimi e confidenziali.
Possiamo affermare senza dubbi che tutti questi spunti derivanti da altre opere siano integrati alla grande, in quanto non solo si adattano perfettamente al contesto narrativo/ambientale, ma generano addirittura un vero e proprio tipo di atmosfera nuovo, ancor più unico.
Il gameplay, invece, è quanto di più basilare potessimo aspettarci: per tutto il gioco non faremo altro che muoverci in giro per l’hotel, esplorando fisicamente ogni suo luogo, dai corridoi delle camere al garage, dalle cucine alla sala caldaie e tante altre: le uniche due micromeccaniche (relative all’avanzamento della trama) risultano purtroppo decisamente sbrigative e pressochè insignificanti.
L’unica forma di sfida che il gioco offre è quella legata all’orientamento: il level design dell’hotel è infatti piuttosto elaborato, tra corridoi, scale, porte, piani rialzati ed intercapedini, ma sempre chiaro e mai caotico (abbiamo provato una certa soddisfazione nel riuscire sempre a ritrovarci e a “riconoscere” la nostra posizione e quella dell’obiettivo, grazie a punti di riferimento visivi ben pensati e una gestione della mappa cartacea intelligente).
Giungiamo dunque al succo della questione: la trama. Dopo un incipit piuttosto esplicativo, l’incedere della narrazione assumerà la forma di un’iperbole: le fasi iniziali saranno lente, tranquille e senza un appartente “punto conclusivo”, e man mano che si avanza il tutto crescerà d’intensità, fino ad un finale denso, pieno di dialoghi, scoperte, rivelazioni e veri e propri eventi.
Anche l’esplorazione assumerà un ruolo progressivamente più ansiogeno, in quanto all’interno dell’hotel stesso si avrà una crescente percezione di qualcosa di anomalo, fuori posto e sempre più sospetto, come se stesse succedendo qualcosa di materiale apparentemente senza che vi siano spiegazioni logiche.
Quindi, siamo giunti ai titoli di coda con un tale sovraccarico di tensione che non ci è stato immediato comprendere per bene le effettive vicende, ma poi a freddo ci siamo resi conto di quanto fosse tutto abbastanza comprensibile, grazie a procedimenti narrativi collegati in modo piuttosto semplice (anche se non proprio tutti ci hanno convinto a livello di integrazione con la trama) e colpi di scena moderati ma ben assestati, che ci hanno tenuti incollati allo schermo fino alla fine.
Purtroppo però, abbiamo percepito una carenza nei confronti della caratterizzazione e nella spiegazione degli eventi passati (e dei personaggi che li riguardavano), nel senso che non siamo riusciti del tutto ad empatizzare con il passato di Nicole (e quindi con le sue reazioni/emozioni/sensazioni e riflessioni), che ha un ruolo di primaria importanza, come se il gioco pretendesse che fossimo nei suoi panni anche psicologicamente parlando: in questo caso, la scarsa longevità ha impedito agli sviluppatori di scavare più a fondo nei personaggi (e quindi delle loro storie), lasciandoci più indifferenti di quanto avremmo voluto.
E qui ci colleghiamo direttamente ad uno degli aspetti che più ci hanno colpito della produzione, ovvero le tematiche. La serie di eventi sopracitati non è altro che la punta dell’iceberg della narrazione, in quanto si tratta di un racconto incredibilmente umano, che fa una forte leva sul concetto di ricordo, di sofferenza, del tormento di animi pieni di rancore in costante lotta con i propri fantasmi del passato, portandoli ad un tale livello di depressione da non essere più in grado di accettare la propria vita, o almeno di vederne i lati positivi.
Il significato di fondo, infatti, non è qualcosa di educativo o costruttivo, bensì di visceralmente malinconico, deprimente e scoraggiante, che sbarra brutalmente le porte della pace interiore, e conseguentemente del lieto fine; eppure, tutto ciò ci ha colpito profondamente, e portato a riflettere e a pensare quanto un trauma personale possa cambiare per sempre la vita di una persona nel profondo, ben oltre le limitazioni della banale apparenza.
Il gioco fa anche particolare leva sull’idea di “suggestione“: infatti Nicole, con il susseguirsi degli eventi, attraverserà gradualmente più fasi psicologiche, che altereranno inconsciamente la sua sensibilità, al punto da avere reali stravolgimenti sulla percezione degli ambienti che la circondano, cambiando radicalmente le idee che aveva sempre avuto riguardo all’hotel (questa cosa avrà conseguenze anche in game, in un modo che però non possiamo spoilerarvi).
Anche la grafica fa il suo porco lavoro: tramite la fotogrammetria (tecnica per il quale si scansionano oggetti reali affinchè vengano replicati virtualmente in game con il massimo livello di dettaglio), la resa delle texture raggiunge un livello di fotorealismo notevole, inoltre anche l’illuminazione riesce perfettamente a rendere giustizia alla spettrale atmosfera del Timberline (palesemente ispirato a Shining a livello di ambientazioni) nelle varie fasi del giorno.
Vi è però un problema di cutscenes: durante specifiche interazioni, il gioco staccherà la visuale dalla prima persona di Nicole per mostrarci dall’esterno l’effettiva azione da lei compiuta, con inquadrature e tagli inspiegabilmente brutti e una resa delle mani della protagonista completamente fuori dalla linea generale della grafica.
Un enorme plauso va fatto al comparto audio: oltre ad essere direzionale in tutte e tre le dimensioni (anche in base alla distanza, ovviamente), la quiete si alterna ad una quantità spaventosa di effetti sonori, che definiamo senza esagerare alcuni dei più realistici che ci sia mai capitato di sentire: ogni passo genera uno scricchiolio in base alla superficie dove si cammina, ogni ticchettio di orologio, ogni rumore proveniente dalle tubature o dallo sfregolio delle luci e ogni suono causato dalla bufera che imperversa all’esterno contribuiscono a rendere il Timberline vivo, quasi pulsante, degno delle più spettrali e ambientazioni horror.
Non è da meno il doppiaggio inglese, in grado di dare la perfetta espressività ai personaggi in ogni occasione.
La storia del suicidio di Rachel ci ha colpito al cuore, non tanto per la trama (che abbiamo comunque seguito con estremo interesse) quanto per la resa pratica di alcuni concetti psicologici profondamente umani ma negativi, come la sofferenza e l’incapacità di accettare il proprio passato, e lo fa tramite una grafica con i fiocchi, un comparto audio fuori parametro e una serie di idee di design che metteranno in discussione la vostra stessa suggestione.
Se non fosse stato per la scarsa longevità che ha creato qualche piccola sbavatura nel quadro generale del racconto e limitato alcune possibilità di gameplay, The suicide of Rachel Foster avrebbe potuto raggiungere gli esponenti del genere, ma per essere il primo lavoro di questo piccolo studio di sviluppo, non possiamo che alzarci in piedi, fare un lungo applauso ed essere estremamente fieri di quest’altra piccola grande perla tutta italiana.
Dopo il deludente e già dimenticato Space Jam 2 c'era molta attesa per il ritorno…
Uno degli annunci che mi hanno più incuriosito della non-conferenza di Lucca fu quello della…
Con l'elegante ritardo a cui siamo abituati, dal 7 novembre Look Back è finalmente disponibile…
Incredibile ma vero, Red Dead Redemption è finalmente disponibile su PC, piattaforma su cui non…
Come quasi ogni saga videoludica "longeva", nei due decenni abbondanti della sua vita anche quella…
Tra i giochi indie che negli ultimi anni hanno più smosso anche i gamer più…
Questo sito utilizza i cookies.
Scopri di più