Dopo un gennaio ed un febbraio non particolarmente rosei videoludicamente parlando, ci aspettavamo un grandioso marzo in termini di uscite, in mezzo a Doom Eternal, Animal Crossing, Nioh 2, Half Life Alyx, nuove stagioni di Destiny e Rainbow Six Siege e il lancio di Warzone (modalità Battle Royale gratuita di Call of Duty) non potevamo che fremere dalla voglia di giocare a fondo anche l’ultima grande esclusiva Microsoft, Ori and the Will of the Wisps.
Dopo Ori and the Blind Forest (senza dubbio uno dei migliori metroidvania platform di sempre, rilasciato ormai 5 anni fa), le nostre aspettative riguardo il suo sequel divennero davvero alte ed ora, dopo anni di attesa e qualche piccolo rinvio, abbiamo avuto l’occasione di giocarlo, gustarlo e completarlo.
Dopo la redenzione del grande gufo Kuro, antagonista principale del primo capitolo, Ori, Gumo e Naru possono finalmente vivere in pace, in una Nibel ormai liberata e curata da ogni male, prendendosi inoltre cura dell’uovo per il quale la stessa Kuro aveva dato la vita. D’improvviso, come un fulmine a ciel sereno, quest’uovo si schiude, allargando la loro già felice famigliola: accogliendo la nascita della cucciola di gufo con estrema felicità, inizieranno a crescerla esattamente come fosse loro figlia battezzandola Ku, dandole da mangiare e cercando di insegnarle a volare.
Purtroppo però, una delle sue ali è atrofica (difetto biologico per il quale questa non sarà “rigonfia” e possente quanto dovrebbe, bensì debole e mal sviluppata) il che le impedisce di mantenere una certa altitudine una volta spiccato il volo.
Con la piccola in preda alla tristezza, ad Ori venne il colpo di genio, andare a recuperare la piuma di Kuro che, durante il primo gioco, riuscì a rinvenire in seguito ad uno scontro con essa: con l’aiuto di Gumo, riuscirono a “compensare” il difetto dell’ala sinistra del piccolo gufo con la piuma di sua mamma, grazie alla quale, finalmente, riuscirà a sbattere entrambe le ali così da permetterle di mantenere una certa quota e, conseguentemente, volare esattamente come gli altri uccelli.
Con Ori sulle spalle, durante il primo entusiastico volo, decisero di spingersi oltremare seguendo un gruppo di cigni (o di presunti tali), fino a raggiungere un’isola lontana: nell’arco di pochi secondi però, una violenta tempesta si abbattè nei pressi della loro posizione, il forte vento “staccò” la piuma di Kuro dall’ala di Ku, Ori cadde dalla sua groppa e i due vennero inevitabilmente separati.
In quel momento prenderemo il controllo di Ori, disperso nella foresta di Niwen (questo il nome dell’isola), che avrà il dovere di ritrovare la piccola Ku e portarla in salvo.
Nonostante l’introduzione non sia commovente quanto quella di Ori and the Blind Forest, già dai primissimi minuti, il gioco è riuscito a farci battere il cuore grazie ad un prologo incredibilmente fiabesco e colorato ma al contempo fluido e comprensibile, in grado di porre sin da subito delle basi narrative d’impatto ed una motivazione per il giocatore di empatizzare con i personaggi.
Quando si inizierà a giocare infatti, si percepirà un certo senso di solitudine, di desolazione, ma soprattutto di voglia di “darsi una mossa” per trovare il piccolo Ku e assicurarsi che stia bene, il che rende la situazione particolarmente intrigante sin da subito, ben più di quanto fece il post prologo di Ori and the Blind Forest.
Il resto della trama si attesta su livelli medi, ripescando alcuni escamotage narrativi già presenti nel primo (in modo anche fin troppo palese, cosa che in realtà non abbiamo apprezzato particolarmente) e mischiandoli con altri spunti ben più interessanti, tra cui l’incontro con personaggi inediti e qualche colpo di scena assestato come si deve, per giungere ad un finale che, seppur non sia niente di sconvolgente a livello di mera trama, ci ha galvanizzato da un lato e fatto scoppiare in lacrime dall’altro.
Inoltre, durante il nostro viaggio faremo una quantità non indifferente di incontri (anche secondari) con personaggi di vario tipo, tra chi ci offrirà qualche compito e chi solamente qualche linea di dialogo, il che non fa altro che ampliare il livello di caratterizzazione del mondo di gioco, anche se in modo comunque meno profondo di quanto avremmo voluto. Scordatevi quindi sin da subito di venire inondati di lore in ogni angolo di gioco (come avviene per esempio in Hollow Knight), in quanto Ori si trova lì per raggiungere un obiettivo, e tutto ciò che vi è nel mezzo non è altro che un tramite, il che se da un lato è un peccato, dall’altro si capisce come sia stata senza dubbio la scelta più saggia.
A completare il tutto si aggiunge una notevole precisione estetica nella differenziazione delle creature nemiche, ora molto più numerose in tipologia che in passato, e soprattutto posizionate nel giusto contesto ambientale (a differenza di come succedeva in passato dove era possibile trovare anche i nemici di inizio gioco nelle zone più impensabili).
Dal punto di vista del gameplay non possiamo fare altro che inchinarci di fronte a Moon Studios: se già Ori and the Blind Forest proponeva un comparto platform incredibile, denso di ottime di idee e un equilibrio generale difficilmente eguagliabile, in Ori and the Will of the Wisps non solo ritroviamo pressochè ogni meccanica del primo gioco, ma anche una serie non indifferente di nuove aggiunte integrate alla perfezione nel sistema di movimento e in particolare nel design delle mappe.
Ogni macroarea avrà infatti delle sue dinamiche uniche, contestualizzate esteticamente e proprietarie di quel bioma, il che rende ogni singola ambientazione completamente diversa dalle altre a livello di approccio ed esplorazione che, intrecciate con alcuni enigmi (sempre di natura platform ma da risolvere tramite la logica) rendono l’esperienza pratica di Ori and the Will of the Wisps qualcosa di inspiegabilmente bello, diversificato all’inverosimile e più divertente che mai.
Nonostante nel primo gioco fosse possibile sconfiggere i nemici in diversi modi, si sentiva palesemente la mancanza di un reale sistema di combattimento. Ebbene Moon Studios in questo sequel ha pensato anche a questo; infatti, Ori otterrà anche vere e proprie armi da usare per sconfiggere i nemici (alcune saranno fondamentali per la prosecuzione della campagna principale, altre del tutto secondarie, ottenibili dai mercanti), i quali effetti potranno essere cambiati e potenziati tramite un sistema a Frammenti, modifiche (che riguarderanno anche altre caratteristiche come l’aumento della salute ecc.) da trovare esplorando in lungo e in largo le varie ambientazioni e applicabili a piacimento in base alle proprie esigenze (esattamente come avviene nel già citato Hollow Knight).
Tutto ciò riesce a funzionare alla grande, al netto di qualche piccola accortezza: anche in questo caso, non si tratta di niente di particolarmente profondo, non esistono vere e proprie build e molte abilità potreste non usarle mai in quanto alcune sono vistosamente più utili e comode di altre.
Quindi, ogni scontro che andremo ad affrontare non rappresenterà altro che un “imprevisto” da superare durante il nostro viaggio, in quanto Niwen non si tratta di chissà quale antico regno pullulante di guardie e antichi combattenti, bensì di una “semplice” regione brulicante di vita, e quindi di creature ostili appartenenti alla fauna locale: persino le boss fight (che si possono contare sulle dita di una mano) hanno un mordente narrativo e tecnico moderato, il che rende evidente il fatto che anche in questo secondo capitolo i combattimenti avranno un ruolo secondario rispetto all’avventura generale, ma si tratta senza ombra di dubbio di un contorno estremamente più solido, soddisfacente, piacevole e completo, in grado di regalare sensazioni “pad alla mano” d’effetto, che in passato era impossibile vivere.
Altra grande caratteristica di Ori and the Will of the Wisps è la libertà di approccio: da un certo punto del gioco in poi, gli obiettivi principali diverranno molteplici e sarà possibile raggiungerli nell’ordine in cui si preferisce. Quindi, affrontare prima una certa area di gioco ci permetterà di ottenere prima determinate abilità, rimandando conseguentemente l’ottenimento di quelle relative alle altre zone: considerando la preponderanza delle abilità di movimento nel gioco, tali differenze nell’apprendimento di queste cambia drasticamente sia l’approccio generale alla campagna, sia tutta la fase di esplorazione secondaria e backtracking.
Abbiamo però avuto l’impressione che tali abilità si ottengano durante l’avventura un po’ troppo velocemente: per farla breve, avremo molto presto una notevole quantità di possibilità di movimento, il che ci ha reso l’esperienza di gameplay a lungo termine ben più semplice rispetto al passato, in particolare considerando le nuove capacità (quelle inedite rispetto al primo capitolo, s’intende), che ci daranno veramente molti modi per riuscire a salvarci anche nelle situazioni più pericolose.
Avremmo quindi forse preferito una dilatazione più netta nei confronti della crescita progressiva del personaggio, almeno per farci bramare determinate skill e al contempo alzare moderatamente il livello di difficoltà: considerando però quanto queste integrazioni meccaniche rispetto al level design complessivo risultino divertenti ed immediate, sarebbe un po’ troppo severo definirlo come difetto.
Bene, dopo esserci inchinati a Moon Studios per la bellezza e la varietà della giocabilità, possiamo rialzarci, erigere la schiena, alzare le mani e fare un eterno applauso al comparto artistico: non abbiamo davvero le parole per definire quali livelli qualitativi siano riusciti a raggiungere per quanto riguarda l’ispirazione estetica delle ambientazioni, la cura nelle micro e macro animazioni di ogni creatura, lo stile creativo e la realizzazione pratica di queste ultime, i contrasti di luce in ogni angolo del mondo di gioco, la quantità ai limiti della follia di dettagli grafici a schermo, la fluidità e la bellezza di ogni singolo effetto speciale, la possenza e la magia che traspare da ogni sfondo e skybox, la precisione nella resa delle texture, l’epicità visiva delle boss fight, l’attenzione nel distinguere ciò che fa parte del design di gioco e ciò che invece è solo estetico.
Se è vero che molti giochi dall’impronta artistica possono essere definiti come quadri in movimento, questo è una vera e propria pinacoteca. Con il cuore in mano, possiamo dirlo con assoluta tranquillità senza il rischio di esagerare: Ori and the Will of the Wisps è senza ombra di dubbio una delle esperienze visive migliori di questa generazione, e riesce ad esserlo anche senza l’utilizzo di folli tecnologie all’avanguardia o considerando il rapporto della risoluzione o il numero di frame al secondo.
A sorprenderci è stato anche il comparto audio: già Ori and the Blind Forest svolgeva un lavoro magistrale sia nella resa dei suoni ambientali che nella bellezza delle sue colonne sonore, in questo caso i primi sono ancora più precisi e diversificati, mentre le seconde più solenni ed incalzanti.
Non ci stupiremmo nel caso in cui dovessero mai sviluppare un documentario sulla realizzazione artistica di questo capolavoro, è qualcosa di talmente elevato da poter fare tranquillamente da esempio a studi ed opere ben più imponenti finanziariamente parlando.
Ci è dispiaciuto profondamente aver notato diversi inciampi di natura puramente tecnica, tra freeze grafici e sonori, cali di frame rate, glitch e bug visivi di sorta e anche qualche piccolo crash: sia chiaro, tutto ciò può essere tranquillamente patchato e sistemato, ma in mezzo alla meraviglia che è il resto del gioco sembra quasi un danno più grave di quanto effettivamente non sia.
Ori and the Will of the Wisps è un capolavoro senza riserve, uno di quei sequel che fa molto più di quanto farebbe un sequel normale: esso offre un’esperienza paradisiaca per occhi ed orecchie, stimolante all’inverosimile per le dita e incredibilmente dolce per l’animo.
Alcune sbavature tecniche e qualche riciclo narrativo sono difetti che vengono brutalmente schiacciati dalla grandezza e dalla bellezza del resto dell’opera, seppur rimangano indubbiamente tali.
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