Il terzo episodio di Love, Death & Robots è forse quello visivamente più bello e originale. Dopo due ottime pellicole con modelli tridimensionali altamente particolareggiate, Alberto Mielgo e il suo The Witness (La Testimone) ci porta nel campo della sperimentazione tecnica con modelli rielaborati al computer su originali disegnati e animati a mano.
La trama di The Witness è molto semplice: una balleria/spogliarellista di Hong Kong assiste dalla finestra del suo hotel a un omicidio di cui riesce a distinguere il colpevole.
Purtroppo per lei anche l’altro la nota e i due si danno a un lungo inseguimento a perdita di fiato.
La trama di The Witness è estremamente semplice, ma sono la particolarità della regia e le scelte artistiche che rendono questo episodio uno dei migliori della serie.
Innanzi tutto il colpo d’occhio e i colori.
La ballerina, di cui non sapremo mai il nome, colpisce fin dalla sua prima apparizione in scena, con il suo trucco molto appariscente fatto di viola e blu particolarmente scuri che risaltano sulla carnagione pallida e per la sbavatura di rossetto che la accompagnerà per tutta la durata della pellicola. Un ottimo modo questo per farla riconoscere immediatamente dallo spettatore con un colpo d’occhio di alto impatto.
Non è caso è già diventata una delle immagini più iconiche dell’intera serie. Basta andare su Instagram e cercare l’ashtag della serie per accorgersi di quanto quell’immagine abbia lasciato il segno
Altro elemento cromatico che salta all’occhio in maniera completamente diversa è la colorazione dei palazzi della città dove è ambientata la puntata.
Con delle inquadrature recuperate pari pari da Ghost In The Shell, Mielgo ci mostra enormi e altissimi condomini-formicaio di Hong Kong, tutti uguali tra loro, colorati di giallo spento e violetto altrettanto spento.
In tutti i momenti dell’inseguimento la colorazione dell’ambiente circostante permette di percepire l’indifferenza generale di tutto il mondo circostante rispetto ai due personaggi principali e al loro inseguimento, intrappolandoli in una sorta di micro-cosmo dove esistono solo loro due.
Per quanto riguarda la regia, questa è fatta in modo che lo spettatore stesso non si trovi mai a suo agio.
I punti di vista della telecamera sono studiati perché sembri che le immagini vengano catturate casualmente, tanto che i personaggi stessi hanno poco riguardo verso la cinepresa, sporcando l’immagine con urti, impallamenti dell’inquadratura e la condensa del loro fiato.
Non è certo una regia scelta a caso. Tutto in questo film vuole mostrare l’impossibilità di intervento all’interno delle vicende narrate. Tutto l’inseguimento è qualcosa che può essere solo osservato da lontano, rimarcando ancora una volta l’isolamento dei due protagonisti.
Ciò che moltiplica il senso di straniamento dei due personaggi rispetto al resto dell’ambiente è però il superbo supporto sonoro; non da intendere come il semplice insieme delle musiche, ma come l’intera colonna sonora, comprensiva di musiche, tutte diegetiche (cioè che sono parte del mondo interno del cortometraggio), rumori ambientali e voci.
Nell’intero film la musica è relegata solo alla scena del ballo, per tutto il resto del tempo l’azione è accompagnata dai rumori della città.
Motori, clacson, movimenti delle insegne e di macchinari non meglio identificati scandiranno il ritmo dell’inseguimento e del montaggio, che in un cortometraggio con solo tre movimenti di macchina rappresenta tutto il dinamismo della regia.
Tolta la sequenza nel locale, tutti i rumori e le voci sono sempre lontani, ovattati, aumentando ulteriormente il senso di isolamento dei due protagonisti rispetto al resto del mondo.
I respiri e i rumori di passi di inseguitore e preda saranno infine il collante per dare a tutta la puntata una continuità che le inquadrature statiche e la realizzazione impressionista dei disegni non sarebbero riusciti a dare da soli.
Il livello tecnico in questo corto è piuttosto difficile da valutare perché lo studio Pinkman, creato dallo stesso Alberto Mielgo, ricerca una sperimentazione delle tecniche d’animazione tradizionali in 2D applicata ai modelli digitali.
Nel film viene utilizzata una tecnica di animazione piuttosto vecchia, ma riportata un auge recentemente da Spiderman: Un Nuovo Universo: la tecnica dello “On Two’s” (non sono riuscito a trovare una traduzione italiana).
Questa tecnica era utilizzata prima dell’era digitale per risparmiare sul numero di disegni richiesti per una singola animazione e prevede la velocizzazione dei movimenti applicando lo stesso disegno su due frame consecutivi, utilizzando la metà dei frame richiesti per un singolo movimento.
Il risultato dell’utilizzo dell’On Two’s è un’animazione non perfettamente precisa, ma che rimane credibile se applicata a movimenti rapidi, elementi di cui The Witness abbonda.
Le caratteristiche di questa tecnica sono sfruttate perfettamente da Mielgo e compagnia per creare azioni frenetiche durante tutto l’inseguimento, contornate dall’alta realisticità del movimento dei vestiti e degli oggetti penzolanti che i due portano con se.
Il livello dell’animazione non scende neanche quando a schermo appaiono più corpi in movimento, nonostante il montaggio molto rapido permetta di coprire alcune eventuali imperfezioni.
Altro accorgimento che The Witness ha mutuato dall’ultimo film di Spiderman è l’inserimento di alcuni elementi prettamente fumettistici all’interno del film.
Abbondano onomatopee scritte su schermo quando cadono delle casse o si batte sul tettuccio di una macchina, i disegni diventano simili a baloon colorati durante le scene di lotta, per rendere impressionisticamente la violenza del momento, e gli stessi personaggi diventano a volte semplici macchie di colore quando la velocità dell’azione lo richiede.
Quest’ultimo aspetto poteva essere gestito meglio, c’è un punto in particolare a tre quarti del corto in cui la trasformazione dell’inseguitore in una semplice macchia in movimento è fin troppo palese, ma tutto sommato sopportabile visto l’altissimo livello di tutto il resto.
The Witness è uno dei migliori esempi di cosa questa serie dovrebbe essere a mio modo di vedere: una vetrina per il proprio autore per mostrare al mondo la propria arte e il proprio modo di fare animazione.
Alberto Mielgo, di cui raccomando la visione degli altri corti animati che potete trovare sul suo sito personale, è ciò che più si avvicina ad un autore nella schiera dei reclutati da Fincher e Miller e riesce a mostrarci la sua idea di animazione, anche se solo in parte.
Dico così perché nonostante The Witness abbia un bellissimo colpo d’occhio e sia tranquillamente ascrivibile tra le migliori puntate di questa serie, la tecnica utilizzata è già stata sdoganata al grande pubblico del succitato Spiderman: Un Nuovo Universo e non rappresenta più una così grande novità.
È possibile che Mielgo, nonostante gli vada riconosciuto un estro non da poco, si sia lasciato influenzare da qualcosa che ha fatto tendenza, andando in questo modo a colpo sicuro con il pubblico mainstream.
Nonostante questa piccola parenesi reputo The Witness uno dei punti più alti raggiunti da Love, Death & Robot e pienamente meritevole di essere visto più e più volte.
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