Recensioni

The Haunting Of Hillhouse, l’orrore nella famiglia

Tha Haunting Of Hillhouse

8.3

Comparto tecnico

8.5/10

Cast

8.0/10

Scrittura

9.0/10

Regia

8.0/10

Direzione Artistica

8.0/10

Pros

  • Fotografia
  • Monologhi
  • Colonna Sonora
  • Sceneggiatura

Cons

  • Scarso approfondimento del personaggio di Hugh (da vecchio)
  • Uso non ottimale degli effetti sonori
  • Alcuni passaggi risultano lenti

Una madre, un padre, cinque figli ed una casa infestata. E’ questa la premessa che ci offre The Haunting Of Hillhouse, serie originale Netflix, uscita il 12 ottobre scorso e che, bisogna dirlo, si apre con un incipit monotono, poco originale, se non addirittura banale. Insomma, la classica storia di spiriti maligni e possessioni, accompagnata da un horror spicciolo e poco efficace, un genere visto e rivisto che ormai non ha più nulla da offrire.

Se la pensate così, lasciatemi dire che la serie non impiegherà molto a contraddirvi e a dimostrarsi l’esatto contrario. Con un 92% su Rotten Tomatoes e una valutazione generale di 9 su 10, The Haunting Of Hillhouse non ha perso tempo nel farsi strada attraverso il vasto panorama Netflix, un successo meritato per motivi più che validi.

La serie, basata sul libro L’incubo di Hillhouse di Shirley Jackson, è stata creata e diretta da Mike Flanagan (regista di Il gioco di Gerald e Ouija: le origini del male) e racconta la storia dei fratelli Crain che, da bambini, sono cresciuti in quella che in seguito sarebbe diventata la casa infestata più famosa del paese. Ora adulti e costretti a stare di nuovo insieme di fronte ad una tragedia che li ha colpiti, dovranno finalmente affrontare i fantasmi del loro passato, alcuni dei quali sono ancora in agguato nelle loro menti, mentre altri potrebbero nascondersi nell’ombra.

Detto ciò, cos’è che rende The Haunting Of Hillhouse una serie così meritevole?

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Una nuova interpretazione dell’orrore

Da una serie basata sul paranormale è più che lecito aspettarsi non pochi elementi horror che facciano parte delle ambientazioni, della colonna sonora, dei personaggi o, in generale, dell’insieme di tutti quegli aspetti che nell’immaginario comune caratterizzano e identificano qualsiasi produzione horror.

The Haunting Of Hillhouse non è da meno ed è fornito della sua buona quantità di spettri, fantasmi ed eventi inspiegabili, perciò sarebbe sicuramente sbagliato dire che la serie si allontana da questa tradizione e che non ricade in alcuni cliché, ma, senza alcun dubbio, vi aggiunge delle sfumature diverse e più complesse.

Il vero orrore della vicenda, infatti, non risiede nelle entità che tormentano la famiglia ma è radicato nei conflitti irrisolti e nei drammi non affrontati nel passato dei protagonisti.

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Si, le figure paranormali sono in tutto e per tutto reali e concrete ma fungono da rappresentazione del dolore che i fratelli hanno accumulato, stipato ed assorbito nel corso di anni e che, venendo ignorato, ha inevitabilmente portato a delle drastiche conseguenze.

Il personaggio di Nell è sufficiente a personificare quest’idea: la ragazza, infatti, anche nell’età adulta, dopo anni, aveva continuato a chiedere aiuto ai fratelli, perseguitata dalle visioni provocate dalla casa ma le sue richieste di soccorso erano state trascurate, come se lei stessa fosse stata un fantasma. Una realtà che l’ha rapidamente trascinata verso il suo triste destino, sancito da una frase che colpisce nel segno: “Sono stata qui per tutto il tempo. Ma nessuno riusciva a vedermi.”, pronunciata nel passato da una piccola Nell e che si riflette cupamente negli eventi contemporanei alla trama.

Si può dire che l’usufruire di elementi horror e paranormali sia soltanto un espediente per parlare delle paure, degli incubi e delle preoccupazioni dei personaggi, che diventano reali e tormentano le loro esistenze ed è questo aspetto ad essere la chiave del successo della serie: non si tratta della storia di una casa infestata ma della storia di una famiglia.

Ne esce fuori un racconto in cui è facile immedesimarsi, che colpisce il pubblico, che commuove e che funziona incredibilmente bene. Se si guarda una normale produzione horror, per quanto essa possa essere immersiva, è facile discostarvisi, poiché si parla di eventi che non possiamo completamente comprendere o riconoscere come esperienze familiari, mentre The Haunting Of Hillhouse ci mette faccia a faccia con vicende umane, come la perdita di una madre, un litigio tra fratelli, un’incomprensione in un matrimonio ma anche l’alcolismo e l’uso di droghe.

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Vicende, quindi, che, anche se non vissute personalmente dal pubblico, risultano comprensibili e che spaventano poiché realistiche e non solo sovrannaturali.

La Sceneggiatura

Lo svolgimento della trama, seppure non sempre perfetto, funziona. Le vicende si susseguono in modo continuo e coerente, mantenendo un flusso naturale che raramente si dimostra forzato o lento. Tutto questo è favorito dagli ottimi personaggi (che approfondirò più avanti), i quali agiscono come forze attive all’interno della narrativa, portandola avanti efficacemente, ma che sono, allo stesso tempo, anche in balia degli avvenimenti e del potere della casa, risultando quindi sia passivi che attivi.

E’ questo un aspetto che normalmente non funziona ma che nel caso dell’horror è assolutamente sensato. Il terrore, infatti, nasce dal personaggio che si trova di fronte a qualcosa che non riesce a controllare e che lo spodesta sotto tutti gli aspetti ed è quindi naturale che in parte, esso, subisca gli avvenimenti, a patto, però, che sappia essere anche attivo (basta pensare alla Ripley di Alien, la quale cerca di agire e di prendere iniziativa anche se si ritrova in una situazione in cui non ha il minimo controllo).

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I personaggi di The Hunting Of Hillhouse seguono questi parametri e funzionano, diventando essi stessi la storia e rendendo efficace la sceneggiatura.

L’accurata fusione di elementi horror e non, riesce a mantenere la narrativa interessante, emotivamente coinvolgente ed intensa, senza ricadere mai nella monotonia. L’aspetto horror, inoltre, è di qualità molto più alta di quella che ci si aspetterebbe. Non ricade in “spaventi” spiccioli o scontati o rumori stordenti, tipici, purtroppo, dell’horror moderno, ma trasmette, invece, un sottile senso di inquietudine e di disagio che è incisivo, senza rischiare di esagerare o sembrare ridicolo.

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Infine, ben gestita ed essenziale per il buon funzionamento della storia è l’alternanza tra passato e presente, soprattutto perché il nucleo delle vicende risiede nel passato ed è fondamentale per la comprensione della trama, offrendoci allo stesso tempo una finestra sulle personalità dei protagonisti.

I Personaggi

Parlando di protagonisti arriviamo ad un punto cardine della serie. La caratterizzazione è ottima, i personaggi risultano realistici e piacevoli, senza mancare però di numerosi difetti, specifici per ognuno, ed evitando così di ricadere nella noiosa categoria degli “eroi perfetti”. Sono complessi e studiati in modo logico, dotati di un determinato profilo psicologo in cui ogni tratto esiste per un motivo preciso (solitamente rilegato ad un avvenimento importante del passato) e fortunatamente riescono a rimanere coerenti a se stessi e alla loro caratterizzazione, senza comportarsi in modo inaspettato, agendo secondo un ragionamento che è, nella loro specifica psicologia, razionale.

Grazie all’ottima scrittura il pubblico è in grado di comprendere le ragioni dei personaggi, seppur non condividendole (un aspetto assolutamente da non sottovalutare). Attenzione però: il fatto che i protagonisti siano coerenti non implica che non attraversino, comunque, un processo di cambiamento e maturazione nel corso della vicenda. Attraverso il confronto con la casa, con il passato e con la famiglia, ogni personaggio è in grado di crescere, diventando quindi dinamico.

Infine, interessante nella caratterizzazione è la scelta di fornirci dettagli su un determinato personaggio sfruttando dialoghi e questioni che non lo interpellano direttamente. Userò un esempio per spiegarmi meglio: nella serie ci viene presentata Theodora Crain, una donna fredda, anaffettiva, solitaria, che cerca di allontanarsi da tutti e che svolge la professione di psicologa infantile.

Dopo una sessione di terapia con una bambina, Theo si rivolge ai genitori di quest’ultima affermando che: “durante la crescita si è distacca dal mondo attorno a lei, costruendosi un muro per proteggersi ed allontanarsi da tutti” ed è estremamente palese che queste parole, più che alla bambina, siano riferite a Theodora stessa e rivolte direttamente al pubblico, per aiutarlo a comprendere questo personaggio. E’ un espediente ricorrente nella serie che rimane piuttosto interessante.

I Dialoghi

E’ vero, i dialoghi dovrebbero essere compresi nella sceneggiatura ma ho pensato che, in questo caso, meritassero una sezione a parte, poiché sono uno degli aspetti più brillanti della serie. I dialoghi non sono usati soltanto come mezzo per far interagire i personaggi o per darci informazioni ma sono un modo per trascinarci all’interno della trama e coinvolgerci, lasciandoci dei tasselli di un puzzle che spetta a noi mettere insieme. Ma lasciatemi spiegare.

All’interno della serie vi sono tre personaggi chiave: Nell (la sorella minore), Olivia (la madre) e Hugh (Il padre), cosi definiti poiché sono gli unici ad essere a conoscenza di tutta la verità, dei segreti della casa e della natura della “red room” (riferimento a Shining?). Di conseguenza, quasi ogni parola pronunciata da essi, anche la più semplice e colloquiale, nasconde un significato più profondo, se non addirittura metaforico, che rivela in parte dei dettagli importanti (che possono passare inosservati) e sparge dei piccoli indizi, appunto dei tasselli, che lo spettatore deve cogliere e mettere insieme per cercare di arrivare alla verità.

Questa caratteristica, oltre a rendere i dialoghi estremamente toccanti e tristi, mantiene attento il pubblico, che si sente coinvolto e viene spinto a teorizzare sulla trama. Oltre questo, i dialoghi, e soprattutto il modo in cui vengono espressi, forniscono informazioni sui personaggi, insieme a diversi monologhi estremamente curati. In generale, risultano essere poetici senza ricadere nel banale e senza essere eccessivamente languidi.

Regia e Fotografia

Ottimo è l’uso dei colori, sfruttati per creare atmosfera (come per l’immagine della casa nera che si staglia contro il cielo con le finestre illuminate da una minacciosa luce arancione) ma anche per enfatizzare il significato simbolico della scena, basta pensare alla porta rossa che contrasta con il resto della casa trasmettendo contemporaneamente calore e inquietudine, poiché essa è sia un rifugio che una trappola allo stesso tempo.

Oppure il suo interno, di un bianco puro, intenso ed accecante. In altri casi la regia da alla scena un tocco più stilistico, come nel caso di una discussione tra Shirley e Theo, in cui le due silhouette nere si pongono su uno sfondo chiaro.

Infine, l’aspetto più interessante e curioso risiede in quello che il regista si è divertito a nascondere sullo sfondo. Infatti, Mike Flanagan ha avuto la geniale idea di inserire ben 43 entità occultate (io ne ho notate solo un paio) all’interno di varie scene. Molte di esse sono poste sullo sfondo o dietro i personaggi e sono spesso nascoste grazie all’uso ottimo della sfocatura e rendono la serie ancora più coinvolgente, perché spingono a prestare più attenzione e la stessa ricerca di queste figure può rivelarsi anche divertente, per quanto inquietante.

Il Cast

Per quello che riguarda la scelta del cast non c’è molto da dire. Tutti gli attori si sono dimostrati all’altezza delle aspettative e più che soddisfacenti, riuscendo ognuno a dare vita, colori e sfumature al proprio personaggio, aiutando a renderlo più particolare ed unico. Con precisione, ad offrire una performance memorabile sono Victoria Pedretti (Nell Crain), Kate Siegel (Theodora Crain) per il suo monologo nell’ottavo episodio e Michiel Huisman (Steven Crain) già apparso in serie TV di successo come Il Trono Di Spade e Orphan Black ma anche in pellicole come Adaline e World War Z accanto a Brad Pitt.

La Colonna Sonora

La colonna sonora, composta interamente dai The Newton Brothers e di cui è disponibile anche una versione in vinile, appare alquanto limitata, tanto da essere quasi inesistente (escludendo la musica dei titoli di testa), una caratteristica che, incredibilmente, non risulta negativa.

Infatti, per quanto possa sembrare inesistente, vi è una particolare traccia (intitolata Come Home) facilmente riconoscibile, per quanto semplice, che si ripete nei momenti più importanti ed essendo il resto delle tracce non particolarmente memorabile, essa viene subito messa in risalto per il pubblico. E’ una melodia molto scarna, stiamo parlando di qualche nota di piano, ma che funziona, si adatta alla scena che viene mostrata ed emoziona. Viene notata dalla prima volta in cui la si sente, rimanendo impressa nello spettatore e, di conseguenza, ogni volta che viene ripetuta, è inevitabile rimanerne colpiti.

Conclusione

Ho cercato di fornirvi un riquadro il più approfondito possibile di quella che considero, indubbiamente, una delle serie Netflix di più alta qualità, sotto tutti i comparti, se non addirittura una delle produzioni cinematografiche più complete e curate degli ultimi anni (seppure non perfetta). Il successo della pri,a stagione di The Haunting Of Hillhouse è stato ottimo e vi invito tutti, se non lo avete già fatto, a guardarla. Intanto iniziano a diffondersi voci su una possibile seconda stagione, probabilmente con una trama tutta nuova e, sinceramente, non stiamo aspettando altro!

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Sara Taffi

Salve a tutti! Io sono Sara e le mie più grandi passioni, che mi accompagnano da sempre, sono quelle per il cinema, i videogiochi e le serie TV. Adoro scrivere e cerco di cogliere ogni occasione per dialogare e confrontarmi con gli altri riguardo tutto ciò che questo fantastico mondo nerd può offrire e spero di poterlo fare al meglio anche con voi!

Pubblicato da
Sara Taffi
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